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Portare uno stent cardiaco e affrontare un intervento chirurgico, una sfida possibile

Gestire il rischio di interventi in caso di stent e terapia antiaggregante, un convegno dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria mette a confronto i professionisti
15 febbraio 2013

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Cardiologi in prima linea, anestesisti, chirurghi generali e di chirurgia toracica, urologi, odontoiatri e rianimatori: un squadra di professionisti che si incontrano per discutere la complessa gestione del rischio di complicanze ischemiche ed emorragiche di un intervento chirurgico in caso di paziente cardiopatico, già portatore di stent e quindi in terapia antiaggregante.

Sono più di mille ogni anno le persone che nella nostra provincia vengono sottoposte ad angioplastica coronarica con impianto di stent: nella maggior parte dei casi soggetti adulti che vivono una vita normale con uno stent coronarico e in terapia con farmaci antiaggreganti che ne prevengono la trombosi, cioè la chiusura improvvisa, e che potrebbero trovarsi ad affrontare un’operazione chirurgica per un problema diverso da quello cardiologico. Il convegno “Terapia antiaggregante nel paziente portatore di stent coronarico candidato a chirurgia non cardiaca” in programma martedì 19 febbraio, dalle 14 alle 19, presso la sala congressi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, punta a mettere a fuoco le complessità di queste situazioni. L’iniziativa, ideata dai cardiologi Alberto Menozzi e Franco Masini della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria, invita alla collaborazione tra i professionisti della sanità.

Prima di tutto dunque l’obiettivo del convegno è sottolineare la cautela da applicare nella gestione del paziente portatore di stent al cuore (in particolare se si tratta di stent medicato), in occasione di un intervento: dagli interventi più piccoli a quelli più grandi, dalla estrazione di un dente alla rimozione di una neoplasia. Infatti, in caso di sospensione della terapia antiaggregante per ridurre i sanguinamenti durante l’intervento chirurgico, vi è il rischio concreto di trombosi con chiusura improvvisa dello stent coronarico e conseguente infarto del cuore. Allo stesso tempo però, eseguire un intervento chirurgico senza riduzione o sospensione della terapia antiaggregante può aumentare il rischio di avere sanguinamenti anche gravi. Il periodo in cui prestare maggiore attenzione è il primo anno dopo l’impianto dello stent, un periodo di vita che, nel cardiopatico, può trascorrere in condizioni di assoluto benessere. E che, per questo, può condurre a sottovalutare il rischio.

“Avere uno stent al cuore è una condizione molto diffusa – sottolinea Alberto Menozzi, esperto di cardiologia interventistica del Maggiore- per questo oggi ci prefiggiamo di affrontare anche il problema della gestione del paziente con stent che deve essere sottoposto ad un intervento chirurgico”. Il primo passo dunque è la corretta informazione: conoscere il rischio consente di governarlo, magari sopportando un lieve sanguinamento, come può essere nel caso dell’estrazione di un dente o di un’endoscopia. In secondo luogo, si tratta di utilizzare le informazioni disponibili: quelle contenute nei documenti di consenso delle società scientifiche che indirizzano verso comportamenti e decisioni uniformi per contenere al massimo i rischi. Si tratta di documenti di consenso, come ad esempio quello ANMCO-GISE “Stent Coronarico e Chirurgia”, pubblicato nel 2012, ad uso dei professionisti medici che aiutano a individuare delle categorie di rischio (alto, medio e basso) sia per il rischio ischemico che emorragico e dunque ad affrontare al meglio la problematica dell’intervento. Infine, nei casi più complessi, può essere indispensabile la condivisione del rischio con il medico cardiologo, per affrontare e prendere le decisioni più complesse: può essere il caso di rimozione delle neoplasie, o di interventi di neurochirurgia.

Elemento indispensabile è la diffusione della cultura legata al possibile rischio e alle prospettive di equilibrio tra danno e beneficio: una sfida per la quale è fondamentale il confronto tra i professionisti, cardiologi e chirurghi prima di tutti. Una scommessa sulla quale giocano un ruolo importante anche i medici di famiglia, i primi a stretto contatto con l’ammalato.

Ultimo aggiornamento contenuti: 15/02/2013