Stimolare il cervello per allontanare la demenza

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“Interventi di stimolazione cognitiva nell’invecchiamento e nella demenza” è il titolo del convegno che si è tenuto alla Sala congressi dell’Ospedale e organizzato dalla Società Italiana Neurologia delle Demenze, in occasione della riunione regionale. Paolo Caffarra, responsabile scientifico dell’evento e dell’Unità Operativa di Gestione delle demenze dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma e dell’area Neurologia del Centro dei disturbi cognitivi e demenze dell’Azienda Usl ha messo a fuoco che a Parma sono circa 10 mila le persone affette da demenza, un dato che si allinea alla media europea, con un 45% di persone al di sopra degli 85 anni e un 5,5% al di sopra dei 60-65. “Non si conoscono le cause primarie della malattia – spiega Paolo Caffarra– anche se l’accumulo della proteina amiloide nel cervello pare essere la causa più probabile. Sappiamo però che alimentazione, stile di vita e mancata stimolazione cerebrale possono aggravare”. Fattori che diventano fondamentali, dunque, per allontanare l’insorgere della malattia e per contenerne il peggioramento.
Per quanto riguarda l’alimentazione, l’indice è puntato soprattutto contro l’assunzione di zuccheri, grassi animali, e salatura degli alimenti: diabete, ipertensione, ipercolesterolemia e disturbi vascolari infatti dimostrano una relazione tra la salute vascolare e metabolica e la malattia di Alzheimer.
Esistono di fatto fattori non modificabili come quelli genetici che condizionano l’insorgere della malattia, ma ci sono chiaramente fattori modificabili come il rischio vascolare, alimentazione e esercizio fisico. “Da alcuni studi realizzati a partire dal 2010, abbiamo compreso che il ricorso all’alimentazione industriale e ai grassi animali influenzano in modo diretto l’incidenza della malattia”, ha sottolineato Daniela Galimberti, della Università di Milano. La dieta ideale? “Cereali integrali, pasta di grano duro, legumi, prodotti a base di soia, frutta e verdura, oltre a olio di oliva e pesce, che aiutano a tenere a distanza la malattia ma anche a contenere il peggioramento in caso di situazione conclamata”, spiega ancora Galimberti. Mangiare sano aiuta proprio perché la maggior parte della energia introdotta è consumata dal cervello e, in un’ottica di futuro, la responsabilità individuale può fare la differenza, come ha approfondito Stefano Sensi della Università di Chieti, con alcuni studi realizzati con utilizzo di tecnologia per immagini.
Le parole d’ordine, oltre al benessere a tavola, sono: esercitare il proprio corpo attraverso il movimento e il cervello con una continua stimolazione cognitiva. La cosiddetta “riserva cognitiva” invero contrasta la demenza nell’intero arco di vita.
Per chi convive già con la malattia o con un famigliare malato, infatti, il suggerimento è ancora più rilevante e vitale. Lo dimostra uno studio nato e sviluppato a Parma: un gruppo di 22 pazienti di oltre 65 anni con lieve demenza, provenienti da città e provincia, si è sottoposto ad attività cognitiva con la collaborazione di un famigliare, riportando un miglioramento dal punto di vista cognitivo e dell’autonomia. “Un dato rilevante – come spiega Giovanni Michelini, del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma – anche sotto il profilo statistico”. Insiste su questa relazione Paolo Caffarra, anche per il momento in cui la malattia presenta i primi sintomi: disturbi della memoria, dell’attenzione e del linguaggio, i primi campanelli di allarme da ascoltare con attenzione, senza facili allarmismi. “Il primo riferimento, all’insorgere dei sintomi – indica Caffarra – resta il medico di famiglia perché è fondamentale verificare in modo precoce se queste manifestazioni sono sintomi secondari di altre malattie, come quella vascolare e tumorale, o come la semplice depressione”.