Attualità scientifica

La continuità assistenziale del paziente oncologico in trattamento palliativo

Vittorio Franciosi, responsabile della Degenza oncologica, fa il punto sugli esiti del convegno del 23 ottobre scorso
15 dicembre 2008

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Il 23 ottobre 2008 si è svolto a Parma il convegno “La continuità assistenziale del paziente oncologico in trattamento palliativo”, che ha riunito oltre 350 operatori sanitari, fra medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, familiari e volontari dei reparti e servizi ospedalieri di Azienda Ospedaliero-Universitaria, Asl, hospice, strutture territoriali e dell’assistenza domiciliare della provincia di Parma.

Si è discusso di strutture di cura, percorsi assistenziali, criteri decisionali, organizzativi e comunicativi adottati nella gestione di questi pazienti.

La continuità assistenziale nelle strutture dell’Azienda Ospedaliera

Gianfranco Cervellin, direttore del Pronto soccorso, ha illustrato le problematiche cliniche del paziente oncologico in Pronto soccorso; i criteri decisionali del ricovero, che dipendono sia dalla gravità del quadro clinico, che dalla valutazione della fragilità del soggetto e del setting familiare/assistenziale; i punti di forza e le criticità relative alle motivazioni del ricovero, in urgenza, di tali pazienti.

Il ricovero avviene, generalmente, in reparti “per acuti”, sui quali si è soffermato Roberto Delsignore, direttore del dipartimento Medico polispecialistico 1, che ha delineato la professionalità dell’internista, che deve sapere affrontare adeguatamente sia le problematiche di sofferenza fisica, psichica, socio-familiare e spirituale di questi pazienti (senza abusare delle consulenze) sia gli aspetti organizzativi dei lunghi tempi di degenza e dei trasferimenti nei reparti di lungodegenza, hospice, strutture territoriali o delle dimissioni protette domiciliari.

Sulle problematiche infermieristiche collegate alla prolungata ospedalizzazione nei reparti medici “per acuti” ha parlato Jolanda Cabrini, coordinatrice infermieristica, che ha posto l’accento sulla necessità di una formazione specifica del personale infermieristico sugli aspetti legati alla dimissione e continuità assistenziale affermando che la gestione infermieristica del paziente oncologico nei reparti per acuti, è una sfida organizzativa e un’opportunità di maggiore integrazione assistenziale sia all’interno dell’ospedale che fra ospedale e territorio.

Molti di questi pazienti vengono assistiti presso la struttura semplice di Degenza oncologica: Giovanna Vasini, dirigente medico oncologo, ha descritto l’attività di questo reparto specialistico, dotato di 20 posti letto, di cui 5 costantemente occupati da pazienti “lungodegenti” in trattamento palliativo-sintomatico (nel 2007 sono stati 108); dei criteri clinici e oncologici che definiscono questi pazienti; delle tipologie di accesso programmate e in urgenza; della priorità del monitoraggio e controllo del dolore, considerato il quinto parametro vitale; dell’importanza della discussione collegiale fra l’equipe medico-infermieristica del reparto, il paziente, i familiari, il medico di medicina generale (Mmg) e l’assistente sociale circa la scelta della migliore struttura assistenziale (nel 2007: 28 pazienti sono stati dimessi in assistenza domiciliare integrata, 10 trasferiti in Hospice e 55 in Lungodegenza).

Del ricovero nelle strutture di Lungodegenza ha parlato Loris Borghi, direttore della Lungodegenza critica. È molto importante la valutazione multidisciplinare per decidere il momento della dimissione in base alle condizione cliniche del paziente e l’attivazione dei percorsi per la dimissione protetta a domicilio o in struttura. Nel 2007 la Lungodegenza critica ha ricevuto 580 trasferimenti di cui 203 (35%) con patologia oncologica, provenienti da reparti medici “per acuti”(63%) e dalla Degenza oncologica (25%). Di questi 92 sono stati dimessi (60% a domicilio, 40% in struttura) con una degenza media di 23 giorni, e 112 deceduti. I reparti di lungodegenza oltre alle funzioni proprie di stabilizzazione clinica, riabilitazione e dimissione protetta attuano una vera e propria medicina palliativa e di sollievo delle fasi finali dell’esistenza.

L’attenzione alla terapia del dolore rappresenta uno degli aspetti assistenziali più importanti dei pazienti oncologici in trattamento palliativo come è stato affermato da Maurizio Leccabue, responsabile del Centro di Terapia antalgica. Nell’esperienza del Centro è stata raggiunta una “quasi” soddisfacente continuità assistenziale nel paziente oncologico a domicilio grazie alla collaborazione con i Mmg, i servizi infermieristici territoriali, le associazioni di volontariato e la figura, decisiva, del familiare di riferimento o caregiver. Tuttavia, viene ancora avvertita la difficoltà del percorso territorio-ospedale dove spesso è difficile ricoverare con tempestività il paziente che necessita di una terapia antalgica palliativa.

L’altro aspetto importante nel mantenimento di una adeguata qualità di vita è la nutrizione di cui ha parlato Franco Saccardi, responsabile del Team nutrizionale ospedaliero (Tno), composto da un medico, un’infermiera, una dietista e una farmacista, che, nel 2007, ha seguito 78 pazienti oncologici, di cui 17 in trattamento palliativo. Fra i compiti del Tno vi è l’elaborazione di protocolli per la gestione ospedaliera della nutrizione artificiale e del piano personalizzato di nutrizione artificiale domiciliare e nursing al paziente e ai familiari; l’attivazione del Service per la fornitura a domicilio e l’affidamento al Team nutrizionale domiciliare (Tnd).

Uno dei problemi assistenziali dei pazienti oncologici in trattamento palliativo è rappresentato dalla difficoltà nella dimissione per motivi clinici, socio-familiari o entrambi. Questo importante aspetto delle “dimissioni protette” o “difficili” è stato trattato da Daniela Zanoni, assistente sociale presso il Servizio sociale ospedaliero. Il Servizio, che affronta situazioni di riduzione delle autonomie funzionali, fragilità della rete di sostegno, difficoltà economiche o abitative, cittadini stranieri attiva, dal 2001, il percorso delle “dimissioni protette”, per la continuità delle cure e la presa in carico dei bisogni sanitari e assistenziali dopo la dimissione. Nel 2007, su 1236 richieste di dimissioni protette, 210 hanno riguardato pazienti oncologici. Di queste solo il 50% ha avuto come esito la dimissione a domicilio. Una proposta di miglioramento consiste nel prevedere l’assistenza globale della persona affetta da malattia oncologica a prognosi infausta attraverso l’attivazione di un’equipe integrata che prenda in carico i diversi aspetti della malattia: sociali, sanitari e psicologici.

La continuità assistenziale nelle strutture dell’Ausl

Gian Luca Giovanardi, direttore dei presidi ospedalieri di Fidenza/S.Secondo e Borgotaro, ha parlato del ruolo degli ospedali di Vaio, Borgotaro e S.Secondo nell’assistenza al paziente oncologico in trattamento palliativo. Le strutture maggiormente coinvolte sono i tre day hospital a prevalente orientamento oncologico; le unità operative di Anestesia e rianimazione di Vaio e di Borgotaro; di Medicina di Vaio e di Borgotaro; le lungodegenze di Borgotaro e S.Secondo; l’Uos di Nutrizione artificiale domiciliare di Vaio e le consulenze oncologiche dell’Azienda ospedaliera di Parma a Vaio e Borgotaro. Sono state descritte le varie prestazioni ed evidenziate alcune criticità nell’approccio globale al paziente, nell’accompagnamento dalla terapia attiva alla palliazione; nell’aumentato bisogno di supporto specialistico ospedaliero (per terapia antalgica e palliazione) all’attività domiciliare; nel miglioramento delle dimissioni protette e degli attuali modelli organizzativi degli hospice.

Dell’assistenza territoriale, erogata attraverso il Dipartimento delle cure primarie e i Nuclei delle cure primarie, ha parlato Giuseppina Rossi, direttore del programma Cure primarie. L’Assistenza domiciliare integrata (Adi), che consente di mantenere a domicilio le persone non-autosufficienti, è dotata di una equipe (Mmg, infermieri, medici specialisti, fisioterapisti, assistenti sociali, assistenti di base, volontari) in grado di erogare diversi livelli di intensità delle cure in relazione ai bisogni assistenziali. I pazienti oncologici assistiti in Adi sono passati da 930 nel 2005 a 1.174 nel 2007 (circa 10 % dei pazienti complessivi). Gli Hospice sono strutture sanitarie residenziali per malati terminali (soprattutto malati oncologici: nel 2007: 86% dei pazienti). Nel 2007 i dimessi dai 4 hospices sono stati 422 contro i 237 del 2005.

Delle caratteristiche e dei modelli assistenziali degli Hospices e della Rete provinciale delle cure palliative ha parlato anche Giuseppina Delnevo, direttore infermieristico dell’Hospice “La Valle del Sole” di Borgotaro. Gli hospice della provincia di Parma sono quattro: Fidenza, con 15 posti letto, attivato nel 2004; Borgotaro, 8 posti letto e Langhirano, 12 posti letto, entrambi dal 2005 e l’Hospice “Piccole Figlie” di Parma, con 8 posti letto, dall’ottobre 2007. Gli Hospices sono un prolungamento del proprio domicilio e includono anche il sostegno psicologico e sociale delle persone che sono particolarmente legate al paziente (partner, familiari, amici). Si tratta di un approccio sanitario globale, olistico, che va oltre l’aspetto puramente medico della cura, intesa non tanto come finalizzata alla guarigione fisica (spesso non più possibile) ma letteralmente al “prendersi cura” della persona nel suo insieme. La struttura si propone di ricreare il più possibile l’ambiente domiciliare, con arredi consoni, locali comuni di ristoro, camere con ogni confort con letto per l’accompagnatore, nessuna limitazione alle visite.

Anche Lorenza Bacchini, ha parlato dell’esperienza dell’Hospice di Vaio, di cui è referente dei Mmg. Un gruppo di 24 Mmg, assicura la continuità assistenziale delle 12 ore diurne dei giorni feriali, con reperibilità telefonica. Si è discusso del ruolo del Mmg nella rete delle cure palliative, che, attraverso questa esperienza, sta acquisendo consapevolezza e competenza, valorizzando il ruolo della medicina generale sul territorio, individuando una professionalità al passo con i cambiamenti in atto nel concetto di salute e qualità di vita nella consapevolezza della necessità di dotarsi di un modello organizzativo efficace, in connessione tra pari con gli altri attori della rete.

Infine, si è soffermata ancora sugli Hospices, ma dal punto di vista della riabilitazione, Mariangela Dardani, fisiatra e referente medico dell’Hospice di Langhirano. Progettare la riabilitazione in Hospice significa identificare unsetting dove effettuare interventi riabilitativi finalizzati non solo al recupero e mantenimento di alcune funzioni, ma anche a migliorare la qualità di vita residua del paziente e ridurre il carico dei caregivers.

Delle strutture socio sanitarie territoriali ha parlato Gianluca Boldrocchi, direttore del Programma assistenza geriatrica territoriale. Queste strutture, pur essendo nate con l’obiettivo dell’assistenza agli anziani, potrebbero rappresentare, per taluni pazienti oncologici, dei possibili modelli assistenziali. Esistono strutture semi-residenziali e residenziali, gestite direttamente da enti pubblici o da privati convenzionati con l’Asl, a cui si accede attraverso il Servizio assistenza anziani (Saa). L’offerta va dal centro diurno, alla casa protetta, alla residenza sanitaria assistenziale (Rsa) agli alloggi con servizi.

È stato affrontato anche il ruolo del privato accreditato e convenzionato nelle cure palliative con Giorgio Bordin, direttore sanitario dell’Hospital “Piccole Figlie”, che ha parlato della sussidiarietà nelle cure palliative definendo il rapporto pubblico-privato un indicatore del modello di stato adottato dal governo politico della società civile. La parola sussidiarietà indica a sua volta la modalità con cui si svolge questo rapporto. Tra due modelli antitetici (sussidiarietà verticale od orizzontale) sono presenti nella realtà concreta molte variegature. La storia stessa delle cure palliative in Italia documenta l’importanza della sussidiarietà nella costruzione del bene comune.

La continuità assistenziale a casa

Ha iniziato Paolo Ronchini, Mmg, che ha parlato del ruolo del Mmg nell’assistenza domiciliare. È stata descritta la realtà assistenziale nella provincia di Parma, prima e dopo la legge n. 29 del 1994 e l’evoluzione dal Nodo (Nucleo operativo domiciliare oncologico) all’Adi, (assistenza domiciliare integrata), avviata nel 1998. Sono state considerate le criticità organizzative ed assistenziali ealcune proposte migliorative.

Del ruolo dell’infermiere domiciliare ha invece discusso Enrica Calci, responsabile del Servizio infermieristico. L’infermiere domiciliare si è rinnovato, superando il modello assistenziale delle prestazioni verso sistemi integrati di cura che richiedono la pianificazione degli interventi col coinvolgimento della famiglia; rappresenta il punto di riferimento per il paziente e la famiglia per quanto riguarda l’osservanza del piano di cura, il riconoscimento dei segni e sintomi, l’uso e la gestione degli strumenti e dei dispositivi, l’applicazione e gestione dei protocolli assistenziali. I tempi per assicurare una appropriata continuità assistenziale e presa in carico non devono coincidere con la dimissione dall’ospedale, ma devono essere programmati collegialmente con le equipe ospedaliere e in anticipo per permettere la conoscenza del paziente e della famiglia.

Il ruolo dell’assistente sociale domiciliare è stato affrontato da Piera Papani, responsabile del Saa del Distretto Sud-est, che ha parlato della rete dei servizi socio sanitari costituiti dall’assistenza domiciliare, ma anche da altri servizi come l’assegno di cura, i centri diurni, le comunità alloggio, gli appartamenti protetti, le strutture residenziali, i ricoveri temporanei e definitivi.

L’importanza del supporto nutrizionale, già trattato dal dottor Saccardi dal versante ospedaliero, ma questa volta dal punto di vista del Team nutrizionale domiciliare è stato ribadito da Corrado Spaggiari, responsabile del Servizio nutrizione artificiale, Ausl di Parma. L’indicazione al trattamento viene posta di concerto con il Tno e gli specialisti oncologi dell’Azienda Ospedaliera  e dell’Ausl. Nel 2007, 52 pazienti oncologici hanno ricevuto nutrizione enterale domiciliare (Ned) e 12 nutrizione parenterale domiciliare (Npd). Sono stati rilevati alcuni limiti nella comunicazione della storia clinica del malato tra coloro che sono deputati alla cura.

Dell’assistenza psicologica al paziente ed alla famiglia ha parlato Cecilia Sivelli, psicologa e psicoterapeuta. La relazione tra il paziente e lo psicologo è il primo elemento di cura. La malattia oncologica non è una malattia individuale, bensì familiare, per questo lo psicologo contemporaneamente può aiutare i familiari ad elaborare e contenere sentimenti di angoscia, rancore, senso di colpa, rabbia legittimando e riconoscendo il “carico percepito” del caregiver. Utile a questo scopo è, oltre il supporto psicologico individuale, anche l’utilizzo di gruppi di incontro con i famigliari.

Quale modello assistenziale per il paziente oncologico in trattamento palliativo?”

È stato l’argomento della lettura magistrale, tenuta da Marco Maltoni, direttore dell’unità oprativa di Cure palliative dell’Ausl di Forlì. È stata portata l’esperienza dell’Hospice di Forlimpopoli, dove il paziente oncologico in fase avanzata (e la sua famiglia) ricevono un approccio clinico-assistenziale globale alle necessità fisiche, psicologiche, sociali e spirituali, le cure palliative, caratterizzato dal lavoro d’equipe e dalla continuità assistenziale. Il paziente in fase avanzatissima è come in transito dalla necessità di una assistenza “per acuti”, erogata dall’Ospedale, a una assistenza più familiare e domestica, offerta dalla Rete delle cure primarie. In tale passaggio è spesso necessaria una competenza palliativa, in grado di offrire consulenze e di prendersi totalmente in carico il paziente e la famiglia attraverso l’offerta di strutture o attività assistenziali diverse in base alle esigenze del nucleo paziente/famiglia, che costituisce la Rete delle cure palliative (consulenze ospedaliere clinico-etiche-organizzative, posti letto di degenza negli Hospice territoriali o ospedalieri, consulenze a domicilioo nelle strutture residenziali e territoriali; servizio di psico-oncologia , ambulatorio di cure palliative e terapia del dolore oncologico per i pazienti deambulanti, servizio di day hospice palliativo diurno).

Per una migliore integrazione tra ospedali, territorio, famiglie e volontariato

Il convegno si è chiuso con la tavola rotonda dal titolo Per una migliore integrazione tra ospedali, territorio, famiglie e volontariato moderata da Vittorio Franciosi, che ha posto domande diverse ai partecipanti, in base alle loro specifiche competenze.

Bruno Agnetti, Mmg e referente per l’Hospice “Piccole Figlie”, ha rappresentato le criticità del medico di famiglia nella gestione del paziente oncologico in trattamento palliativo durante il ricovero in ospedale, in hospice e a casa. Andrea Ardizzoni, direttore dell’Oncologia medica di Parma, ha formulato alcune proposte dell’oncologo per migliorare la continuità assistenziale e ha parlato degli spazi di ricerca clinica e organizzativa nel campo delle cure palliative. Lucia Bonetti, responsabile della Struttura operativa Anziani dell’Assessorato ai Servizi sociali del Comune di Parma, ha manifestato i punti di forza e di debolezza nell’integrazione fra Comune e aziende sanitarie. Giorgio Del Sante ha presentato la sua esperienza di familiare e ha parlato delle risorse della famiglia nell’integrazione assistenziale del paziente oncologico. Mirko Moroni,coordinatore delle Prestazioni socio sanitarie dell’Asl di Parma, ha discusso i punti di forza e di debolezza riguardo al livello di integrazione e uniformità, nel territorio provinciale, delle prestazioni socio-sanitarie per il paziente oncologico in trattamento palliativo. Pietro Sani, responsabile Assistenza domiciliare dell’associazione Avoprorit, ha fatto una fotografia del volontariato impegnato nell’assistenza ai pazienti oncologici a Parma e di alcuni problemi di integrazione con le strutture sanitarie. Paola Siri, responsabile del Servizio infermieristico dell’Asl di Parma, ha ribadito i punti di forza e di debolezza dell’assistenza infermieristica nella gestione domiciliare.

Le conclusioni sono state tracciate da Massimo Fabi, allora direttore sanitario ed attualmente direttore generale dell’Asl di Parma, che ha affermato l’importanza dell’argomento trattato e auspicato che i risultati di questo convegno possano rappresentare uno dei punti di partenza per la stesura e la discussione del prossimo Piano attuativo locale (Pal).

Ultimo aggiornamento contenuti: 27/10/2012