Attualità scientifica

La genetica delle malattie cardiovascolari

Sabato 13 settembre sesto appuntamento del master "Imparare la metodologia della ricerca lavorando con gruppi che la praticano"
12 settembre 2008

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Sabato 13 settembre, nell’ambito del master “Imparare la ricerca lavorando con gruppi che la praticano”, è in programma il workshop “Aspetti innovativi in campo cardiologico: la genetica delle malattie cardiovascolari” (ore 9.30-13.00, sala audiovisivi, ex Scuola infermieri). Interverranno come relatori Luisa Bernardinelli e Carlo Berzuini (Biostatics Unit Medical Research Council, Cambridge, Uk) e Nilesh Samani (Department of Cardiovascular Sciences, University of Leicester, Uk).

Ne parliamo con Diego Ardissino, direttore della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parmae organizzatore del workshop.

 

Dottor Ardissino, quanto la predisposizione genetica influenza il rischio di essere soggetti a malattie cardiovascolari?

È noto da molto tempo che le malattie cardiovascolari, e in particolare la possibilità di essere colpiti da infarto, sono influenzate da due fattori: da una parte l’aspetto ambientale e lo stile di vita, dall’altra la predisposizione genetica.

Le due componenti sono entrambe importanti, ma di solito più un infarto è precoce (prima dei 60 anni per le donne e dei 55 per gli uomini) maggiore è l’influenzadella predisposizione genetica; più è tardivo maggiore è la componente dovuta allo stile di vita.

Sappiamo che i fattori ambientali responsabili dell’aumentato rischio di infarto sono cinque – il fumo, la dislipidemia, l’ipertensione, il sovrappeso e il diabete – e su questi è sempre possibile intervenire con la prevenzione.

Fino alla fine del 2007 la componente genetica invece era ancora un buco nero: sapevamo che se una persona ha un genitore affetto da malattia cardiaca ischemica ha maggiore probabilità di ammalarsi, ma non eravamo in grado di definire e quantificare questa predisposizione. Adesso abbiamo qualche indicazione preliminare.

Oggi conosciamo invece quali sono le varianti genetiche che aumentano la predisposizione all’infarto?

Solo negli ultimi mesi siamo stati in grado di individuare alcune varianti genetiche colpevoli dell’aumentato rischio di infarto del miocardio.

Grazie al sequenziamento del genoma umano, completato nel 2003, siamo infatti in grado di conoscere tutte le varianti genetiche dei cromosomi umani. Nel 2007 un gruppo internazionale di ricerca, a cui ha partecipato anche la Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, ha messo a punto un sistema per individuare le varianti genetiche che predispongono all’insorgenza della cardiopatia ischemica.

In particolare, abbiamo messo a punto un metodo di indagine di biologia molecolare e statistica in grado di gestire miliardi di dati, come quelli che ci fornisce il genoma umano.

Nel corso di un progetto che è durato circa dieci anni, abbiamo coordinato su 125 unità coronariche italiane la raccolta di sangue e Dna in duemila pazienti giovani che sono stati colpiti da infarto del miocardio, e in altrettanti pazienti sani, della stessa età e dello stesso sesso. Abbiamo scelto di concentrarci sui pazienti giovani proprio perché in caso di infarto precoce la componente genetica è preponderante rispetto a quella ambientale.

A mancare, però, era un metodo di indagine adatto a individuare le varianti genetiche responsabili dell’insorgere di cardiopatia ischemica.

In che cosa consiste il metodo che avete messo a punto?

In un primo tempo, ci siamo concentrati solo su porzioni del genoma, dove secondo le nostre previsioni c’erano le maggiori probabilità di trovare informazioni. Un metodo di questo tipo però era troppo limitante, perché dipendeva dalle nostre pre-conoscenze e previsioni.

Abbiamo allora messo a punto un nuovo metodo di indagine di biologia molecolare e statistica per gestire miliardi di dati, come nel nostro caso. Avevamo infatti a disposizione 900.000 campioni per ogni individuo, per un totale di 36 miliardi di campionamenti.

La nostra scelta, in collaborazione con esperti di genotipizzazione e di statistica, è stata poi quella di cercare le eventuali varianti genetiche per le malattie cardiovascolari in modo indifferenziato su tutto il genoma umano. Il risultato più eclatante, che ancora dobbiamo interpretare, viene da una zona del genoma ancora da analizzare a fondo.

Le varianti genetiche che abbiamo trovato in questo modo sono molte: dai primi risultati preliminari sta emergendo che queste varianti genetiche sono costanti anche in altre popolazioni, dagli americani, agli inglesi ai tedeschi.

Quali prospettive aprirà il vostro studio nel campo delle malattie cardiovascolari?

In futuro saremo in grado di calibrare per ciascun individuo il rischio di essere colpito da infarto fin dalla nascita. In questo modo, le misure preventive potranno essere personalizzate e intensificate ove necessario. Per esempio, stiamo cercando anche le varianti genetiche che modificano l’addittività al fumo: non sempre infatti fumare aumenta il rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari.

In tutti i casi, sarà fondamentale portare avanti un corretto stile di vita.

Qual è l’importanza della vostra ricerca per gli altri settori della medicina?

Il metodo che noi abbiamo sperimentato – wide genome association study – si potrà ora utilizzare anche in campi diversi da quello delle malattie cardiovascolari, per rintracciare le varianti genetiche di altre malattie. Penso per esempio a tumori come quello al seno, dove è già noto che esiste anche una componente ereditaria e genetica.

L’importante è che quando si incominciano progetti di ricerca di questo tipo siano presenti tre diversi tipi di competenze: la conoscenza medica della malattia che si vuole indagare, la competenza legata alla genotipizzazione e la capacità statistica di gestione dei dati.

Ultimo aggiornamento contenuti: 26/10/2012