Attualità scientifica

Epatite C: studio pubblicato su Gastroenterology

Evitare terapie inutili nella cura dell'epatite C (Hcv), risparmiando risorse ed eliminando effetti collaterali sgradevoli ai pazienti.
11 novembre 2007

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Evitare terapie inutili nella cura dell’epatite C (Hcv), risparmiando risorse ed eliminando effetti collaterali sgradevoli ai pazienti. Questi gli obiettivi che è possibile conseguire, grazie alle premesse raggiunte da una ricerca sulle risposte immunitarie in pazienti trattati con interferone e ribavirina.

Lo studio è stato condotto presso l’unità operativa di Malattie infettive ed epatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, in collaborazione con altri 9 centri epatologici europei nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea che ha arruolato un totale di 270 pazienti con epatite cronica C. I risultati dello studio sono stati pubblicati nel numero di ottobre di Gastroenterology, la rivista internazionale di maggiore prestigio nel campo della ricerca sulle malattie gastrointestinali edepatiche, organo ufficiale della Società americana di gastroenterologia. Tra i protagonisti della ricerca gli epatologi Gabriele Missale, coordinatore della parte di laboratorio della ricerca, e Carlo Ferrari, coordinatore per la parte immunologica del programma europeo.

Questa ricerca testimonia ulteriormente il livello di eccellenza raggiunto nella ricerca immunologica e nell’applicazione di terapie innovative per il trattamento delle epatiti virali dalla struttura di Malattie infettive ed epatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, un centro di riferimento per altre strutture regionali e nazionali, per la sperimentazione immunologica laboratoristica finalizzata al miglioramento della cura del malato.

L’esigenza dello studio partiva dalla considerazione che solo il 50% dei pazienti con epatite cronica da Hcv di genotipo 1 (il virus più frequente nell’area mediterranea) risulta sensibile alla terapia con Peg-Ifn alfa e ribavirina e può essere guarito tramite un trattamento di 12 mesi. Scopo prioritario della ricerca del settore è pertanto quello di definire nuove strategie terapeutiche per i pazienti che non rispondono alle terapie attuali e di ottimizzare l’uso di interferone e ribavirina, individuando nuovi parametri predittivi di risposta alla terapia, per limitare l’utilizzo dei farmaci ai pazienti che possono realmente beneficiarne, evitando in chi è destinato a non rispondere, gli effetti collaterali della terapia che possono influire pesantemente sulla qualità di vita.

Lo studio ha permesso di accertare che l’effetto della terapia anti-Hcv attualmente utilizzata si realizza principalmente attraverso un effetto anti-virale diretto, piuttosto che mediante la stimolazione delle risposte immunitarie proteggenti. I risultati raggiunti hanno soprattutto indicato la possibilità di predire precocemente l’efficacia della terapia, valutando il comportamento dei linfociti Cd8 Hcv-specifici prima dell’inizio del trattamento.

Le infezioni da virus dell’epatite C (Hcv) rappresentano un problema sociosanitario di estrema rilevanza. Le stime attuali indicano infatti che esistono 150-180 milioni di portatori cronici di Hcv nel mondo, dei quali circa 1,5 milioni in Italia e 5-10 milioni in Europa. In Italia la prevalenza di infezione si attesta intorno al 3% della popolazione generale, con una più elevata frequenza nell’Italia del Sud. Inoltre, le infezioni da Hcv rappresentano la causa principale di malattia cronica di fegato, inclusi gli epatocarcinomi,per i quali l’infezione da Hcv è dimostrabile in oltre il 70% dei casi.

Ultimo aggiornamento contenuti: 19/06/2013