Attualità scientifica

La ricerca in microbiologia e virologia

Intervista a Carlo Chezzi, direttore del dipartimento Patologia e medicina di laboratorio
16 ottobre 2008

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Sabato 4 ottobre nell’ambito del master “Imparare la ricerca lavorando con gruppi che la praticano”, si è svolto il workshop “Aspetti innovativi nel campo della ricerca microbiologica e virologica”. L’argomento principale è stata la ricerca traslazionale: la ricerca di base direttamente trasferibile alla pratica clinica, che permette di sviluppare nuovi metodi per la diagnosi e la terapia.

In particolare, il rapporto tra ricerca di base e ricerca applicata è stato affrontato con una panoramica completa delle infezioni in campo microbiologico e virologico: sono infatti stati presentati il caso di un batterio (la tubercolosi), un parassita (la malaria) e l’Hpv del tratto genitale (un virus).

Ne parliamo con Carlo Chezzi, direttore del dipartimento Patologia e medicina di laboratorio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.

 

Professor Chezzi, qual è il ruolo dei laboratori e della ricerca di base microbiologica e virologica in un Ospedale?

I laboratori sono una sorta di “Ospedale dietro le quinte”: siamo orgogliosi di potere dire che qui forniamo gli strumenti per confermare o allontanare eventuali sospetti diagnostici.

Inoltre, anche le ricerche di base che apparentemente non sembrano avere sviluppi pratici, possono invece portare a importanti risultati. Per esempio, nel campo delle patologie da infezione umana la ricerca può diventare sia uno strumento di diagnosi e terapia che di prevenzione. La recente immissione sul mercato del vaccino contro l’Hpv ne è la dimostrazione.

A differenza di altri settori in cui gli accertamenti di laboratorio servono ai colleghi clinici per un’interpretazione della fisiopatologia della malattia, la diagnosi microbiologica e virologica mira a identificare l’agente eziologico della patologia stessa e risulta quindi fondamentale in molti casi, perché consente di individuare la causa della malattia, consentendo spesso di riportare il paziente allo stato di salute tramite un trattamento terapeutico mirato.

In particolare, molte infezioni acquisite in comunità possono essere debellate grazie all’intervento diagnostico di microbiologi e virologi.

Perché è utile interessarsi di malattie “del passato” come la malaria e la tubercolosi? Quali i risultati di Parma nella ricerca applicata alla malaria?

Occuparci di malattie che pensavamo debellate come la malaria e la tubercolosi e che invece si stanno riproponendo con il loro impatto sociale a seguito dei flussi migratori di extracomunitari è un dovere sia dal punto etico sia di sanità pubblica.

In particolare, la malaria oggi è una malattia di importazione, ma potrebbe ritornare a essere una malattia endemica, perché nel nostro paese esiste ancora il vettore del protozoo, la zanzara anofele.

La malaria è causata da un parassita (un protozoo: Plasmodium), che può presentarsi in quattro diverse specie; il metodo classico ancora di riferimento per la diagnosi prevede l’osservazione del sangue al microscopio, per verificare la presenza eventuale dei protozoi. Questo metodo però richiede una grande esperienza, a volte non è definitivo e se i protozoi presenti sono pochi può richiedere molto tempo per la diagnosi.

Ma proprio una specialista della Virologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Adriana Calderaro, ha messo a punto un metodo per la diagnosi molecolare della malaria, che è già applicato – oltre che a Parma – in molte parti del mondo.

In cosa consiste il nuovo metodo?

Il metodo sviluppato dalla professoressa Calderaro prevede che il genoma del parassita venga amplificato in vitro con particolari tecniche di tipo molecolare.

In sole quattro ore con questo test è così possibile ottenere una risposta definitiva: il fattore tempo è molto importante in particolare nel caso che il paziente sia infettato da Plasmodium falciparum, che può essere anche mortale se la diagnosi non è tempestiva. Il metodo messo a punto a Parma inoltre è più sensibile e più specifico rispetto a quello classico.

Nei vostri laboratori sono stati messi a punto anche metodi diagnostici per individuare i virus che causano le enteriti: di cosa si tratta?

Le enteriti sono infezioni intestinali che colpiscono soprattutto i bambini. Possono essere causate, nel nostro paese, principalmente da rotavirus e norovirus: in particolare, i norovirus sono molto piccoli e difficili da individuare al microscopio elettronico e si pensava che nel nostro territorio non esistessero. Maria Cristina Medici della Virologia ha messo a punto un metodo per amplificare il genoma dei norovirus e lo ha applicato alla diagnosi delle enteriti sui bambini di Parma. Abbiamo scoperto che i norovirus sono la seconda causa di enteriti a Parma, dopo i rotavirus.

Come il metodo utilizzato per la malaria, anche questo è un metodo sensibile, specifico e rapido. Anche se non esistono farmaci antivirali specifici per i norovirus, individuare questi virus come causa di una enterite permette di escludere altri sospetti diagnostici, come la salmonellosi, per il cui trattamento sarebbero necessarie terapie antibiotiche.

Infine, utilizzando proprio questa metodologia abbiamo per esempio individuato un importante episodio epidemico di enterite da norovirus in una casa protetta del Parmense, provocata da un’infezione di origine alimentare durante il pranzo di Natale di due anni fa.

Oggi l’interesse per i norovirus è molto elevato, anche da parte dell’Efsa, proprio perché sono contenuti nelle feci e possono pertanto contaminare gli alimenti (frutta, verdura, molluschi, ecc.) tramite le acque di scarichi fognari.

Ultimo aggiornamento contenuti: 29/10/2012